#012 route 66



3775 chilometri da Chicago a Santa Monica.
ma non c'entra niente qui, quella vera.
c'entra l'idea. l'idea del viaggio e delle tappe.
in realtà non è per nulla una dichiarazione di intenti, anzi, è poco più  di una constatazione.
sono cinque mesi che viaggio e non lo sapevo.
capita, quando sei concentrato a guidare capita. di non realizzare quanta strada stai facendo.
ad un certo punto alzi lo sguardo, riprendi coscienza, e realizzi: ma dove cazzo..
ero così concentrato sui comandi che non vedevo altro che quelli.
così concentrato sul rumore del motore da non sentire quello dell'aria sul parabrezza.
la domanda corretta sarebbe "dove sono"
quella che mi pongo è un'altra: "dove vado".
beh, dove io sia non lo so bene, me lo dice la gente con cui parlo ogni volta che mi fermo. me lo scrivi tu quando ci metti due righe tue in questo posto. leggo e cerco di capire.

una volta ci sono quasi rimasto in un'incidente stradale. ma quel che successe davvero non lo so tutt'ora.
la ricostruzione fattami da chi c'era (io non guidavo) fu che un'auto ci aveva travolto.
io ho memoria del prima, tre amici in auto a cercarsi una serata di riscatto dal mondo, e il dopo, io che mi sveglio sdraiato sull'asfalto con la testa staccata dal collo. appena cosciente realizzai che no, che la testa era soltanto "quasi" staccata dal collo, e che pertanto ragionavo da dentro il corpo e non da fuori. poi la mera applicazione della logica: l'unica cosa che poteva mettere un collegamento plausibile e ragionevole tra quel prima e quel dopo è che ci fosse piombata in testa una nave da crociera, anzi, no, un treno, anzi no forse bastava un'automobile purché veloce e cattiva.
in effetti era cattiva, e senza autista, pare, visto che risultò intestata a un prestanome e che chi guidava era sparito nel nulla. roba da filmone tipo macchina infernale, si si esatto.

ma torno al viaggio.
è quando parlo con le persone che mi rendo conto di dove io sia. le loro facce mi dicono che in questo posto c'è più sole che nel posto da cui provengo, questo è senz'altro vero.
e poi le loro storie: storie che le vedono interagire con l'universo. storie che proseguono e che sono iniziate molto prima del mio arrivo.
leggo e qualche volta mi emoziono. mi espongo  alle vite altrui e mi faccio attraversare dai loro pensieri. e quando mi accorgo che qualcosa rimane cerco di riconoscere l'origine delle persistenze: quasi sempre è affinità di un qualche tipo: intellettuale, emotiva, istintuale.
e allora dico la mia e cerco un confronto. funziona così, qui.
quindi dove sto me lo dici tu.
e dove sto andando?
beh, è semplice, io sto andando ad Albuquerque.






#011 Divano


in effetti è così che vanno le cose.
giri, scrivi, lasci tracce, spisciazzi negli angoli come gatto maschio ancora intero. 
insomma fai casino.
e allora c'è qualcuno che viene a vedere chi sei, dove vivi, dove comincia la tua tana.
devo dire che le prime visite sono assolutamente gradite.
ma mi rendo conto di essere assolutamente impreparato. 
questo posto ha oggi l'aspetto di una cella.
una branda, un lavabo, una tazza, una porta e una finestra.
libri? no, no. solo parole scritte di getto sul muro.

ma se passa gente devi attrezzarti.
se poi la gente che passa è gente che in qualche modo ti va a genio, beh, non è più "gente",  diventa "persone". 
e allora per le persone devi anche impegnarti.
la prima ipotesi è "faccio tutto ikea", ma ikea senza montare è come un'eclissi di sole. luce senza calore.
la seconda ipotesi è "recupero tutto da uno svuotacantine, ma la sola idea di anni di polvere mi rende nervoso.
la terza ipotesi è "minimal": cassette della frutta, cavalletti e ripiani, con effetto cantiere. ma vaffanculo.

ok, riflettiamo.
e cominciamo col cambiare il pavimento.
via il linoleum, via la moquette industriale e la terracotta. via tutto.
voglio legno. potrei elencare ad uno ad uno i dieci motivi per cui voglio legno, snocciolando le promesse che ogni padrone di casa si scambia con il parquettista sulla soglia: "sarà per sempre."( che più o meno suona esattamente come la promessa scambiata col funzionario della banca che ti apre il mutuo per pagarlo, il legno a terra come tutto il resto).
potrei ma non serve: non mi interessa affatto che questo posto risulti confortevole per le persone che non capiscaono il senso di avere il legno a terra.


ok. legno fatto. la luce ora è decisamente diversa.
e adesso? cosa manca? fosse per me ci vorrebbe un frigorifero americano col dispenser del ghiaccio, fosse per me.
e poi? carta e penna, che non si perda neppure una parola, qui.
ah, si.. un divano.








#010 Giroscopio


ok, dai non va male.
aggrapparsi alla normalità.
fissare dieci appuntamenti.
mettere binari, riprendere contatti, zavorrare le giornate con piccole e grandi incombenze.
p i a n i f i c a r e .
tutto questo ha un senso, e quando un senso non lo trovi basta aprire il portafogli, la carta di identità e leggere che c'è scritto.
ci sei tu, quello di sempre, che è nato in quel giorno là e che di professione fa quella roba lì. non male. è sempre un punto di partenza.
tenendo conto che c'è chi il portafogli lo tiene nella tasca posteriore anche quando si siede (io no, mai) si potrebbe dire che c'è gente che ci poggia il culo su quello che è. tutti i giorni.
devo vedere un collega.
adempienze di fine luglio che si sono trasformate in inadempienze di fine agosto. se fosse tutto qui sarei davvero disperato. ringrazio me stesso di non aver mai voluto meno di un lavoro e mezzo e di poter appoggiare il mio cervello su tavoli diversi, almeno fin'ora.
mi servono, le parole.
mi servono per smuovere la massa dei pensieri. anche se non si può dire che si sia davvero fermata, anzi: tre settimane di "stacco-non stacco" hanno portato a una deviazione dell'asse di rotazione del pensiero. i pensieri obliqui che ti portano in certi casi a vedere il mondo da sotto.
è un giroscopio obliquo, una trottola agli ultimi giri, quando sbanda.
con il sangue che va dalla testa a piedi e dai piedi alla pancia e dalla pancia al basso ventre e ad ogni travaso si accendono e si spengono zone del cervello. zone dell'anima. e i sensi dietro a rincorrere.
uff.
credo che sia arrivato il momento di ripristinare l'assetto, dottor Spock.

#009 spin off

ho girato e ho trovato.
dire blog è riduttivo, dai.
sono pozze d'acqua ferma in cui alcune persone (solo donne, non riesco ad appassionarmi ai blog di maschi, forse ho bisogno di sentire la tensione che si crea tra appartenenti ai due sessi) si specchiano ed altre, come me, ne guardano il riflesso.
alcune ci mettono di tutto. ingredienti aggiunti all'acqua, ma quelli che seguo davvero sono quelli in cui chi scrive riesce in qualche modo a specchiarsi senza fare troppe onde.
cambia il cielo dietro, passano le nuvole, passano i giorni, i libri, i film, gli amori raccontati e quelli soltanto sfiorati, gli incontri di sesso e gli scontri di vita, tutto senza eccessive distorsioni ottiche,
episodi rimandati ai miei sensi dalla superficie tremolante dell'acqua: rimbalzi.
ho imparato a diffidare dei coloranti, delle essenze profumate diluite nello stagno, servono a nascondere cadaveri sospesi e zone oscure, e francamente, quanto a sottoscala in penombra, mi faccio bastare i miei.
Acqua pura, ci vuole. proprio quella, con il suo non profumo capace di restituirti gli odori di una Lei scrivente (e in questo momento penso a tre-quattro vite narrate nel giorno per giorno).
è in posti come questi che ritrovo parole mie. le trovo e me le carico dentro.
a volte sono troppe, e per ringraziare ne lascio un po'. a volte esagero, con l'effetto di risultare inizialmente fulminato, poi solo pazzo, infine in qualche modo stimolante. effetti transitori. non si cambia una persona leggendone il blog. e non cambierò me stesso commentando i post altrui.
quello che faccio io è semplicissimo: tiro un sasso, cerco l'onda. per vedere che accade, in che modo le immagini vengano distorte per un attimo. so perfettamente che l'effetto è breve, e non importa. e so anche che in qualche caso non è affatto desiderato.
ho deciso che limiterò i miei commenti, il blog di una persona vive di lei, nessuno dovrebbe entravi e creare scompiglio, ammesso che io abbia mai potuto farlo davvero con i miei commenti.
è così che nasce uno spazio mio, aperto.
e così, dopo mesi di post dal sottoscala, ecco arrivare un po' di luce e un po' di umanità più varia.
anche questo luogo vive di riflessi, ma non si tratta di cieli limpidi e specchi d'acqua, no.
qui porto gli echi delle mie tempeste. uno spazio calmo in cui stare e rifiatare.

#008 greetings from germany

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adesso/giorno/settimane/mese/sempre: giorno.
numero di visite: 2
post visitati: #005 una visita, #006 una visita.
visualizzazione di pagina:2
visite per paese: italia 0, germania 2.
sistema operativo: windows, browser: firefox.

ok, riflettiamo.
la prima cosa che mi viene in mente è italia-germania 4 a 3. ma non è attinente.
capita sovente. quando hai poche visite puoi anche farci caso, alla provenienza. servisse.

penso alla possibilità di avere un solo segretissimo lettore. sta in germania. non male, sarà uomo? sarà donna?
mettiamo che sia uomo: lo chiamerò Huber.
Huber è passato ale ore 16:00 di ieri pomeriggio. ha letto le mie cose e poi è scappato senza lasciare nulla, né un messaggio né un assegno da 5000 euro. taccagno.
però passa spesso, dovrei forse dirgli delle cose. per esempio che non nella mia vita non sono mai stato sessualmente attratto da un uomo.
qualcuno mi dirà che Huber è un BOT. un animale informatico che scandaglia la rete in cerca di connessioni, parole chiave, dati sensibili, numeri di carta di credito.
beh, huber, con me fai il pieno ogni volta, eh.. per questo ti ostini a  ritornare.
tuttavia non sarebbe male se lasciassi due righe, chessò, un commentino, un piccolo segno del tuo passaggio, una pisciatina sul marciapiede, un tag su foursquare.. roba così.
o forse vieni qui per incontrarti clandestinamente con Irina.. dalla Russia, è passata l'altro ieri ma non ha lasciato alcuna traccia.
però ho trovato della terra smossa. ti ha forse lasciato un messaggio sepolto nel portico?
ma bene. almeno mandatemi la partecipazione, va.



#007 oltre l'altrove.

lo so, è brutto e suona male.
oltre-ove. oltre l'altrove, ovvero un posto nuovo.
quando si vive come io sto vivendo si persegue l'accesso ad esperienze così diverse che diventa difficile raccontarle anche a se stessi.
e non parlo di omicidi efferati, di violenze, di traffico d'organi o di olgettine, no.
parlo di situazioni al limite che hanno la caratteristica di essere appena un passo prima del punto di non ritorno.
qualche anno fa non era così. volare a mille all'ora a dieci centimetri da terra ha tra le conseguenze probabili lo schianto.
hai mai grattato il muso sull'asfalto? il rumore dei denti sulla ghiaia, il sapore del tuo stesso sangue in bocca e le ossa che ti esplodono, sono cose che hai mai provato? io le ho provate.
ma sono qui, il che implica che non mi hanno ucciso, né tolto l'uso di quanto serve per arrivare a scrivere un post come questo.
oggi è diverso e ho i miei scudi:

il primo è nascondersi dietro la verità.
perché la verità spalma le colpe.

il secondo è la scelta dei compagni di viaggio.
che siano della tua stessa razza.

il terzo è, si, l'attitudine a cercare il cuore delle cose.
e a farne il centro di attrazione di tutto il tuo sentire.

negli ultimi anni questi tre ingredienti mi hanno salvato il culo più di una volta, posso dirlo.
i continui scartamenti della vita ti portano a chiederti per quale motivo ti sia concesso di essere ancora tra i normali: amici, abitudini, un rapporto stabile, un lavoro che ti piace e per cui di essere tagliato.
e ti porti un tagliente "finora" sospeso sulla testa appeso ad un filo di seta..

ma non è di questo che vorrei parlare, ma del fatto che nel momento esatto in cui decidi di raccontare tutto ad una persona, ad un blog tuo o non tuo, ad uno sconosciuto.. in quell'istante esatto sei già oltre.. 
oltre l'altrove di oggi.
e a quella stessa persona, a quello stesso luogo non racconterai la prossima.
inaffidabile? inarrestabile.
ed è un continuo lasciarsi storie alle spalle. sempre avanti. sempre oltre. oltre il prossimo altrove.
aprirei un blog al giorno. lo farò. o piuttosto comincerò a spargere su altri blog le mie parole. cercando e forse trovando corrispondenze che a quel punto varranno ben più di una scopata occasionale. 
parole che rispondono a parole che bussano.

comincio a sperare che tutto questo sia riconducibile ad un'orbita. che possa ritornare al punto di partenza. e, nel caso, di saperlo riconoscere. 







#006 [ REC ]


Ecco quello che succede:
mi basta premere un tasto.
q u e l  tasto.
e tutto quello che mi passa per la mente viene scansito, vagliato, valutato, soppesato e, se il caso, registrato.
quando poi qualcosa mi pare abbastanza forte da volerne scrivere, quello diventa un post.
è un po' come girare per la città con una macchina fotografica. drizzi le orecchie, attivi i sensi e fai in modo che quello che ti passa sotto gli occhi venga visto da un punto di vista un po' sfalsato.
una percezione come fosse altrui, terza rispetto a te. e quello che la stimola diventa una foto.
a volte passano intere giornate senza che alcuno stimolo ti colpisca abbastanza forte da volerlo documentare in alcun modo. a volte invece è un assedio continuo, ma non dipende solo dal mondo, no. dipende molto anche da te, da quali interruttori permetti al mondo di toccare.
dietro queste parole sembrerebbe esserci del mestiere. non c'è mestiere, no. c'è soltanto l'essere avvezzi a cercare il nome delle cose.

tutto questo nei casi migliori si trasforma in canzoni, il mio caso non è tra i migliori, no, il mio caso è medio.

#005 parlarsi addosso.

mi accorgo che non è sempre uguale, anzi.
quando scrivo di me, solo di me, sono più lucido.
quando cerco di infilarci altro (o altre persone..)  non lo sono, o almeno non nello stesso modo.
è come se cercassi in qualche modo di parlare non solo a me stesso, ma a qualcuno in particolare.
e allora è inevitabile.
alle parole scavate se ne aggiungono delle altre, ad annacquare, a diluire, ad addomesticare, a mediare.
e perdo il filo, poi lo ritrovo, poi lo arrangio poi lo riannodo.
alla fine non ho scritto quello che sono, ma un miscuglio di essere, voler essere e apparire.
farmene una colpa? no, nulla di volontario.
ma non è quello che voglio, qui.
quello che voglio qui è quello che tutti vogliono.
essere interessante per me prima che per gli altri,
essere interessante per le persone che reputo interessanti.
questo è un ponte, non è una vetrina.
questo posto è fatto per entrare in contatto e comunicare.
raccattare pezzi di me in giro per la rete e portarli qui,
e quando capita conoscere persone importanti.
come posso definire il termine "importanti"?
persone capaci di muovermi qualcosa dentro, capaci di stimolare la mia fantasia o uno a caso dei miei istinti.
nel migliore dei casi capaci di tirar fuori quello che ho di buono.
come certi film, certi libri o certa musica.
a volte l'effetto finale è proprio il contrario: il mio meglio risulta non solo invadente, ma nemmeno decente.
ma qui siamo lettere da mettere in fila  nella barra degli indirizzi o nella cartella dei preferiti.
o semplice spam.
nulla di più facile che evitarmi, per quanto questo possa per me risultare in qualche caso doloroso, a volte lacerante.
del resto quello che scrivo qui può essere letto potenzialmente da un sacco di gente.
e se mi stai leggendo è perché in qualche modo mi hai trovato.
oppure io ho trovato te e ti ho persuasa a passare.

mi piacerebbe potermi leggere senza aver scritto. da terzo. probabilmente vedrei cose di me che non mi piace affatto mostrare.




#004 stella cadente


è come un bisturi di luce.
incide il ventre nero di questa notte, gravida di promesse e di sconfitte.
un taglio buono per metterci le mani, rimestar frattaglie fatte di luce e sensi dispersi.
e un pensiero alto da imporre d'ufficio,
sopra gli incendi e le barricate di questa cazzo di guerriglia fatta da bande di pensieri clandestini e impulsi voraci.


#003 Kaleidoscope: a visionary tale



è una pietra.
grande quanto una palla da tennis, ruvida, spigolosa, con spigoli taglienti.
il materiale è un materiale per nulla omogeneo, di colore molto scuro, quasi nero.
nella mescola puoi vedere dei granelli di quarzo, qualcosa di simile, che la fanno tanto sembrare una pietra venuta dallo spazio siderale.

era un sottotetto buio.
penombra residente, qui, un abbaino con vetri oscurati dal vetraio prima e dalla fuliggine poi,
due mani di buio per tener fuori la luce.
polveroso, forse, ma di polvere anch'essa nata qui, polvere con lo stesso odore del pavimento e dei pochi mobili.
vorrei dire che ci sono tanti libri, invece no, perché i libri che sono qui sono solo quelli che sono stati capaci di restare, la gran parte è stata portata via in occasione delle periodiche pulizie.
però c'è uno scaffale vuoto: aspetta libri nuovi, altri libri capaci di restare, ma so che ci vorrà un po', prima che sia pieno abbastanza da  farmi riflettere sulla possibilità di un raddoppio di spazio.

io qui ci vivo. no. non è vero, io qui ci vengo, questo si.
la porta. se dovessi metterci una targa fuori potrei scriverci solo una parola: altrove.
anzi ne metterei una identica anche dentro. due targhe uguali sui due lati della porta: altrove, altrove.
affinché il passaggio da una parte all'altra sia sempre un entrare in un altro altrove, appunto.
e mai un uscire.

sulla pietra, ormai è deciso, i riflessi dei quarzi disegnano questa lettera: è una D.
un po' come se fosse una costellazione, piccoli punti un poco più brillanti degli altri che puoi unire con il pensiero o il sentimento.
è da qualche mese che ho a che fare con questa pietra, e da quando è arrivata ho dedicato molto tempo, a questo altrove.
perché?
beh, la pietra non è arrivata per posta, non me l'ha portata un amico da un viaggio nella patagonia cilena, no.
una pietra che viene dallo spazio ha un solo modo per arrivare qui.
quando è arrivata io non ero qui. ma ho sentito distintamente il fragore di vetro che esplode colpito da un proiettile.
insieme alla pietra sono entrate altre cose.
luce e aria su tutte.
sono accorso, e una volta qui ho capito che non sarebbe bastato pulire e riparare.
la scena è quella di un fascio di luce bianca che dal tetto fende l'oscurità
e colpisce un oggetto scuro pieno di spigoli e cristalli di quarzo, e ogni cristallo prende un po' di quel fascio di luce, ne estrae un colore, e lo riproietta su una parete del mio altrove.
mille cristalli, mille diapositive proiettate sui muri.
un'esplosione di luci diverse, di racconti, di storie, di sensazioni ed evocazioni.

Caleidoscopio.

da allora quello che faccio non è altro che raccontarle, tutte, ad una a una.
alcune raccontano di me. del mio viaggio in ricerca. di tutti i miei altrove.
a volte sono solo parole, ma spesso si accompagnano ad un'immagine.
altre volte sono semplice rendicontazione del mio percepire il mondo,
dei miei pensieri alti e di quelli più bassi, i pensieri da uomo e i pensieri da cane.
colori che virano, parole che si fanno esplicite, e tutte le gradazioni del nero mischiato a certi aromi.

ogni tanto distolgo lo sguardo da tutto questo cinema e mi avvicino alla pietra.
come quando, proprio al cinema, andiamo in torsione sulla seduta per voltarci e scrutare la finestrella della cabina di proiezione, chiedendoci quale magìa possa mai esserci là dentro, prima di realizzare che probabilmente c'è un ventitreenne che legge fumetti con un panino e una birra tra le mani.
dentro la pietra non c'è un tizio che legge fumetti, no.
io lo so chi c'è.
lei non parla, lei è D.
ha un ruolo che non vuole, l'ho chiamata a lungo, ho graffiato la pietra fino a lacerarmi la pelle, ma questa è una storia diversa, soprassediamo.

inizialmente ero costante. trascrivevo ogni scena con solerzia, con impegno, temevo che la magìa si sarebbe esaurita. per mesi, quasi ogni giorno, puntuale. ora non c'è più l'urgenza, ho capito che quello che scrivo, quello che vedo, le parole che affiorano da questo viaggio visionario vengono prima di tutto da me.
oggi passo ogni volta che ho raccolto abbastanza parole da portare qui, e le metto in uno scrigno che ha preso forma in un blog. post come fossero fotografie.
scatto e posto.
un luogo segreto di parole sospese, fino a quando qualcosa non cambierà,
oppure per sempre, non lo so.

#002 altri blog

i miei viaggi vedono dei passaggi frequenti in alcuni luoghi.
come quando vai in una città che conosci e torni spesso nello stesso bar.
consuetudini che pian piano abbandonano il piano delle scelte per entrare nel mondo delle abitudini.
tra questi posti ci sono alcuni blog.
persone, che non per caso vivono la città in cui io stesso vivo.
altri occhi che osservano lo stesso mondo che osservo io, e ne scrivono. 

le tre cose che leggo e che mi fanno tornare in un blog:
i primissimi post, quelli genuini, quelli ancora vergini.
gli altri avventori, un blog interessante ha lettori interessanti.
la risposta ai miei commenti, non sono in un museo o al cinema, voglio interagire, amo interagire.

ogni blog è un plettro cui avvicino le mie corde.
vediamo cosa ne esce, quali armoniche partono.


DIAMOND BLOG AWARD
va bene. ci sono regole. 
v. dice che non sa ancora di che parlo ma che lo faccio bene. che sarebbe come dire l'importante è averci stile, il resto non conta o conta poco.
io dico che so benissimo di cosa voglio parlare e che non vederlo, da parte di occhi come i suoi, è solo un guardare altrove. ci sta.
la scusa è una catena, pare, che ha un nome: diamond blog award, e un' ideatore.
in tutto questo finisco nel mazzetto dei cinque nominati da v. tra questi un paio che non conoscevo seguirò senz'altro.
devo ringraziare, citare e rilanciare.
ringrazio, e ricito v. per i nomi fate a caso tra quelli che mi seguono. mi picco di essere seguito solo da persone che io stesso seguirei e seguo, quindi.
la parte bella è la canzone. diamonds and pearls di mr. prince rogers nelson.
altre cose dello stesso genere prevedono anche un questionario: almeno questa ce la siamo scampata. ma se dovessi istituire un premio di questo tipo ci metterei il purity test. è tutto. pratica chiusa, si va oltre, anzi, si torna oltre.