#003 Kaleidoscope: a visionary tale



è una pietra.
grande quanto una palla da tennis, ruvida, spigolosa, con spigoli taglienti.
il materiale è un materiale per nulla omogeneo, di colore molto scuro, quasi nero.
nella mescola puoi vedere dei granelli di quarzo, qualcosa di simile, che la fanno tanto sembrare una pietra venuta dallo spazio siderale.

era un sottotetto buio.
penombra residente, qui, un abbaino con vetri oscurati dal vetraio prima e dalla fuliggine poi,
due mani di buio per tener fuori la luce.
polveroso, forse, ma di polvere anch'essa nata qui, polvere con lo stesso odore del pavimento e dei pochi mobili.
vorrei dire che ci sono tanti libri, invece no, perché i libri che sono qui sono solo quelli che sono stati capaci di restare, la gran parte è stata portata via in occasione delle periodiche pulizie.
però c'è uno scaffale vuoto: aspetta libri nuovi, altri libri capaci di restare, ma so che ci vorrà un po', prima che sia pieno abbastanza da  farmi riflettere sulla possibilità di un raddoppio di spazio.

io qui ci vivo. no. non è vero, io qui ci vengo, questo si.
la porta. se dovessi metterci una targa fuori potrei scriverci solo una parola: altrove.
anzi ne metterei una identica anche dentro. due targhe uguali sui due lati della porta: altrove, altrove.
affinché il passaggio da una parte all'altra sia sempre un entrare in un altro altrove, appunto.
e mai un uscire.

sulla pietra, ormai è deciso, i riflessi dei quarzi disegnano questa lettera: è una D.
un po' come se fosse una costellazione, piccoli punti un poco più brillanti degli altri che puoi unire con il pensiero o il sentimento.
è da qualche mese che ho a che fare con questa pietra, e da quando è arrivata ho dedicato molto tempo, a questo altrove.
perché?
beh, la pietra non è arrivata per posta, non me l'ha portata un amico da un viaggio nella patagonia cilena, no.
una pietra che viene dallo spazio ha un solo modo per arrivare qui.
quando è arrivata io non ero qui. ma ho sentito distintamente il fragore di vetro che esplode colpito da un proiettile.
insieme alla pietra sono entrate altre cose.
luce e aria su tutte.
sono accorso, e una volta qui ho capito che non sarebbe bastato pulire e riparare.
la scena è quella di un fascio di luce bianca che dal tetto fende l'oscurità
e colpisce un oggetto scuro pieno di spigoli e cristalli di quarzo, e ogni cristallo prende un po' di quel fascio di luce, ne estrae un colore, e lo riproietta su una parete del mio altrove.
mille cristalli, mille diapositive proiettate sui muri.
un'esplosione di luci diverse, di racconti, di storie, di sensazioni ed evocazioni.

Caleidoscopio.

da allora quello che faccio non è altro che raccontarle, tutte, ad una a una.
alcune raccontano di me. del mio viaggio in ricerca. di tutti i miei altrove.
a volte sono solo parole, ma spesso si accompagnano ad un'immagine.
altre volte sono semplice rendicontazione del mio percepire il mondo,
dei miei pensieri alti e di quelli più bassi, i pensieri da uomo e i pensieri da cane.
colori che virano, parole che si fanno esplicite, e tutte le gradazioni del nero mischiato a certi aromi.

ogni tanto distolgo lo sguardo da tutto questo cinema e mi avvicino alla pietra.
come quando, proprio al cinema, andiamo in torsione sulla seduta per voltarci e scrutare la finestrella della cabina di proiezione, chiedendoci quale magìa possa mai esserci là dentro, prima di realizzare che probabilmente c'è un ventitreenne che legge fumetti con un panino e una birra tra le mani.
dentro la pietra non c'è un tizio che legge fumetti, no.
io lo so chi c'è.
lei non parla, lei è D.
ha un ruolo che non vuole, l'ho chiamata a lungo, ho graffiato la pietra fino a lacerarmi la pelle, ma questa è una storia diversa, soprassediamo.

inizialmente ero costante. trascrivevo ogni scena con solerzia, con impegno, temevo che la magìa si sarebbe esaurita. per mesi, quasi ogni giorno, puntuale. ora non c'è più l'urgenza, ho capito che quello che scrivo, quello che vedo, le parole che affiorano da questo viaggio visionario vengono prima di tutto da me.
oggi passo ogni volta che ho raccolto abbastanza parole da portare qui, e le metto in uno scrigno che ha preso forma in un blog. post come fossero fotografie.
scatto e posto.
un luogo segreto di parole sospese, fino a quando qualcosa non cambierà,
oppure per sempre, non lo so.

4 commenti:

  1. Risposte
    1. è strano, sai. ho la sensazione che se pubbliacaasi ora una cosa così raccoglierei parecchi commenti.
      invece no. ma è ancora tutto vero, è una sorta di manifesto dell'intero blog.
      i tuoi commenti comunque mi portano a rileggere.
      certe cose non esistono più, però.

      Elimina
    2. Uno dei motivi per cui io non riesco a scrivere. Quel "certe cose non esistono più" a me farebbe solo venir voglia di riscrivere ogni volta. Come un movimento continuo del post in cui passato, presente e futuro convivono in un tempo unico.

      Elimina
  2. giuro che lo preparo la targa con scritto altrove per la porta della soffitta, la stessa da 50 anni a questa parte, prima era una salita ed una timorosa conquista, tutto quel buio, ora un po' di mistero è perso, ma c'è un tal carico di ricordi nel mio altrove che resta sempre un luogo speciale

    RispondiElimina