#047 sopra.verso.


sopra l'oceano.
verso altro.

un viaggio è un viaggio. che io lo faccia da dentro la rete o che io lo faccia da dentro questo aereo.
poi ci sono due posti.
quello che lascio, anche se solo per un po', e quello in cui vado, anche se solo per un po'.
e poi ci sono io che non sono diverso da questo siluro alato.
troppo pesante per volare, eppure vola, lui.
troppo pensante per volere, eppure voglio, io.
voliamo insieme, sopra un mare di pensieri e di cose dovute e volute e sognate.
è quello che siamo.
io, lui, tutti.


#046 l'inizio del mondo

facciamo che accade.
facciamo che accade ogni giorno.
facciamo che esiste un attimo, un istante impercettibile di discontinuità tra ciò che eri ieri e ciò che sei oggi.
una piccola morte.
un reset, mentre dormi.
facciamo poi che in quell'istante tutta la mole di dati e di ricordi viene estratta, sospesa in una memoria esterna e poi riversata esattamente dopo il reset, eliminando i percorsi ridondanti e le informazioni non necessarie.
lo so, l'idea è quella di un processo macchinoso. da fantascienza di serie B.
ma se ci pensi è anche un modo per spiegare alcune piccole cose.
quelle consapevolezze che si svegliano al mattino, quei rancori che nascono dal nulla, gli amori maturati nel sonno, e i sogni. tutti i sogni che altro non sarebbero che tracce di coscienza derivanti dal processo mentre ancora è in corso.
mettiamo che ci sia un ordine preciso in cui i ricordi vengono ricaricati. partendo da quelli più lontani e avvicinandosi al presente man mano. fino a quelli di ieri.
anzi, potremmo spingerci ancora più in là: da piccolo lessi un libro che ipotizzava come l'individuo durante il suo sviluppo ripercorresse tutta la strada evolutiva della sua specie, a partire dai primi organismi fino ai piccoli mammiferi, ai primati per arrivare ad oggi: la ricapitolazione della filogenesi nell'ontogenesi. si ipotizzava che la struttura stessa del cervello fosse stratificata in tal senso.
il che riportato al nostro processo di trasferimento implicherebbe che non solo i dati e i ricordi della nostra vita, ma anche i dati della nostra specie. dall'inizio. (nda. non leggo più quella roba, giuro)
metti che stamattina qualcosa è andato storto.
metti che è per questo che sei da tre ore appeso all'albero fuori casa facendo boccacce ai passanti come fossi uno scimpanzé.
sappi che ti è andata bene. se quel che è accaduto fosse accaduto pochi istanti prima ora saresti a rotolarti nelle fogne coi ratti.
è sempre un inizio, dai. 

#045 la prima volta

la prima volta che te ne accorgi.
la prima volta che i tuoi vestiti non sono i tuoi.
la prima volta che ti innamori.
la prima volta che ami.
la prima volta che lasci.
la prima volta che non.
la prima volta che te ne ricordi.
la prima volta che non è abbastanza.
la prima volta nel ricordo.
la prima volta in sogno.
la prima volta che sei leggero.
la prima volta che vedi la bellezza attraverso il dolore.
la prima volta che ti accorgi che non è stata la prima.
la prima volta che leggi ciò che stai leggendo.
la prima volta che leggi ciò che stai scrivendo.
la prima volta che è l'ultima volta.
la prima volta che si scorda, sempre.
la prima volta che ti dici che la fine sarà solo un'altra prima volta.

io la prima volta non me la ricordo. 
forse per questo la cerco, ogni volta.

#044 lo spessore del vetro

c'è questo vetro sospeso.
la luce è obliqua come obliquo è il pensiero.
c'è questo vetro spesso e opaco come fosse acqua ferma.
è solo un attimo, un riflesso, un doppio sogno sullo schermo.

da una parte.
un ricordo proiettato in bianco e nero.
un abbaglio come un sogno e sovraesposto su pellicola.
un abbraccio accennato, le labbra caricate a salve.
la balza di un cappotto che svanisce dietro l'angolo.


dall'altra parte
il sogno è una scena girata ad occhi bassi ma è preciso,
mostra una storia scolpita su pietra a mani nude.
mostra lo scivolo di un interrato,
mostra una bimba non vista.


e nello spessore del vetro
le due storie non si toccano.




#043 underground


io lo so perché fa tutto questo rumore.


fischi, sfiati, sferragliamento di ruote e di rotaie, fruscii d'aria.
tutto finto, tutto evitabile, oggi.
ma lo lasciano. il rumore assordante del treno che attraversa la pancia della città.
lo lasciano, e io so perché.

è ovvio.
lo lasciano perché deve coprire l' altro rumore .
sono seduto e chiudo gli occhi. accanto a me due ragazzine, penso liceali, una coppia di filippini, un manager coi mocassini, una ragazza che legge un libro. sgualcito. quelli che sono soli hanno sempre qualcosa nelle orecchie. ipod o simili. come me, del resto.
se non ci fossero le coppie e i gruppi, se in metro ci fossero solo persone sole, forse non occorrerebbe affatto tutto questo rumore. ciascuno si porterebbe il suo, piantato nel cervello passando dalle orecchie, nessuno potrebbe sentirlo, l' altro.

sono seduto, dicevo, e ho gli occhi chiusi. 
anch'io ho le cuffie. ma nulla mi arriva dalle cuffie.
ho provato, si, ho provato ad alzare il volume nella pausa tra un pezzo e l'altro.
ma il silenzio spinto al massimo non copre i fruscii. il silenzio spinto al massimo volume non li mangia, i fruscii, né li copre, né li smista rendendoli decifrabili. non fa niente di tutto questo.
e così ho spento. perché voglio sentirlo. voglio sentire l' altro rumore.

e quando hai gli occhi chiusi e le orecchie sepolte sotto due auricolari in silicone puoi cominciare a percepirlo, il rombo sordo della città.
mi sembra di sentirle. migliaia di anime che mi passano sopra in pochi secondi. 
ciascuna con il suo carico di oggi, le remore di domani, i rimorsi di ieri e i rimpianti di sempre.
e ciascuna viene a lambire la mia, scambia una molecola d'emozione, scambia un pensiero, scalda un ricordo ormai freddo. accende qui. spegne là.

è quando cambi città che te ne accorgi.
scendi in metropolitana e ti trovi dentro ad un altro pianeta.
gente diversa, rumori e odori diversi, pensieri diversi.
mi piace pensare di poter riconoscere ogni metropolitana del mondo in cui sono stato, come si può riconoscere una donna dal suo odore.
solo datemi occhi chiusi e ipod muto.
e datemi il tempo di sentire l' altro rumore, quello vero.
quella canzone che inizia con "mind the gap" oppure "stand clear of the closing doors, please", ma che poi mi parla di gente che mi scorre addosso. anzi, no. persone.

poi a volte non è solo il rumore.
a volte sei fragile. così fragile ed esposto che non è solo un sentire, no.
è proprio che ogni anima che ti tocca si lega per un attimo alla tua e ne trattiene un pezzo,
strappandola, sbocconcellandone i confini,
fino a lasciarti spossato e svuotato. 
è come farci l'amore, con la città. anzi, è come scoparci o lasciarsi scopare.
e questo capita anche in questo luogo, ma non è necessario parlarne.
la linea4 di questo posto che di virtuale ha la faccia, ma di reale ha la pancia.

bisogna essere forti per lasciarsi fare questo e sopravvivere, molto forti.
per calare le difese e prendersi in faccia l'anima della gente.
in un controvento di emozioni. in un controcanto di pulsioni.
e la gente non è abbastanza forte per potersi permettere di mostrarsi fragile.

ecco perché. ecco perché fa tutto questo rumore.
fischi, sfiati, sferragliamento di rotaie, fruscii d'aria.
tutto finto. tutto evitabile, oggi.
ma lo lasciano, il rumore assordante del treno che attraversa la pancia della città.
lo lasciano.
per coprire l'altro.

play.

#042 oggi.


oggi sono qua, da solo.
oggi ho dormito, fino a tardi.
oggi ho pranzato ad un'ora in cui di solito si è ben oltre il pranzo.
oggi ho fatto un viaggio dentro un altro viaggio, fino a farmi male agli occhi.
oggi sto con le mie corde. le prendo, le lascio, le accordo, scavo cose vecchie, e via così.
oggi guardo il giorno che si spegne, lo guardo dritto in faccia, mentre la luce cala. ora. adesso.
oggi ho detto ad un'amica che per risolvere deve cambiare punto di vista.
oggi ho fermato molte parole che avrebbero invece voluto partire.
oggi ho avuto un pensiero privato per ogni persona conosciuta qui. chiedi. te lo dirò.
oggi è un giorno come sarebbero tutti i miei giorni se solo dessi loro più tempo.
oggi sono la persona che sarei ogni giorno, se solo me ne dessi il tempo.
oggi sono un po' più me stesso di quanto non fossi ieri.
oggi sono ancora io, ma non ancora io.

ed ora viene il bello. 
oggi viene il buio.




#41 silenzio


...
me ne stavo li a guardare questi puntini sospesi. 
cercavo risposte ma risposte non ne arrivavano, arrivavano invece delle domande cui non ho saputo rispondere se non con il silenzio.
il silenzio.

lo metti lì. sul tavolo. non lo annunci, non lo dichiari. lo metti lì e basta. 

sono in pochi a vederlo. qualcuno lo scambia per un rassicurante vuoto di idee, di quelli che fanno sentire le persone legittimamente parte di una maggioranza.
poi ci sono quelli che lo sanno vedere. e spesso non sono neppure i destinatari veri, a percepirlo.
perché il silenzio è come un vaffanculo: non serve a chi lo innesca ed é superfluo per chi lo sa comprendere. 
un silenzio è fatto di materia leggera, ma è capace di spigoli.
un silenzio sa anche volare da un capo all'altro di una città, sopra il mare, oltre le montagne. 

un silenzio è un origami che ti guarda, zitto.