#040 leggerezza


va bene. tutto vero. vero che qui si scrive poco e perlopiù di notte. e allora escono solo certe note. solo il nero, ha detto qualcuno. e quella voglia di farsi sotto, di arrivare vicino. quella voglia che riesce ad urtare. l'invadenza del farsi sotto sfacciato, del cercare subito gli occhi. delle parole pensate e pesanti.
e le regole da imparare e le regole da inventarsi. e le piccole conquiste. e i piccoli buffetti. cose che qualcuno ha provato a spiegarmi, come chi mi diffida dal passare e si nasconde da me, che mi aspetta con un bastone pronto a spezzarmi le ossa per reati di prossimità. il non rispondere, il non raccogliere. chi semplicemente e gentilmente fa notare che la vita è altrove e chi invece viene accanto e non ha paura di dire sei un coglione, ma puoi peggiorare. ma a tutto questo c'è un rimedio. e questo rimedio è qualcosa che sempre rimando ma che in fondo so che mi appartiene: leggerezza.
il re dei cazzari direbbe che c'è ancora molto da fare ma ancora di più da disfare. il re dei cazzari butterebbe tutto in vacca. sparigliando le carte, aprendo alle allusioni, sposando consuetudini e facendo lo spaccone. è che tutto questo bisogno di esserci alla fine non è altro che la dichiarazione di assenza da se stessi. ma va bene, va bene, non ci sono problemi. è solo il punto di partenza. basta essere per gli altri quello che si vuol essere per se stessi e, alla fine, quel che davvero si è. scrivere vaffanculo! sullo specchio e non scordarsi a chi lo stai scrivendo.


#039 la vecchina dei talenti



ho una mia idea, sui talenti.
sono molte di più le cose che si possono fare del numero di persone al mondo.
e credo che ciascuno di noi possa essere il migliore in una certa cosa.
perlopiù cose inutili:
catalogare palline da ping pong.
unire i puntini immaginari nelle nuvole.
pensare coni rovesciati.

col tempo ho visualizzato un personaggio: una vecchina, fragile, indifesa.
una di quelle vecchine che fanno tenerezza, di quelle che il buoncuore ti porta a favorire, a proteggere, quasi accudire per i pochi metri di strada che la tua maggior velocità ti concede al loro fianco.
è la vecchina dei talenti.
non è mai nello stesso posto. e tutti la incrociano, una volta nella vita.
e lei sa, di ciascuno, quale sia il talento. quale la cosa in cui sarebbe il migliore.
basterebbe chiederglielo, te lo direbbe.
immagino la vecchina nel centro di una città fuori da una vetrina l'undici agosto 2012.
olimpiadi di londra, finale dei duecento metri.
Usain Bolt che vince l'oro, dopo aver vinto i 100. che esulta.
e lei, la vecchina,  che guarda la gara attraverso la vetrina di un negozio.
e che fa no con la testa.
e che sorride.
e scuote la testa.
e io che le chiedo perché stia sorridendo. 
e lei con voce sottile che mi dice tu, mi dice, sei meglio di lui.
io? 
mi guardo. guardo bolt in tv e mi dico che è pazza. 
il mio sguardo dice a lei la stessa cosa perché lei si fa seria, alza una mano e mi indica.
si, dice, tu sai esultare molto meglio di lui.
lei è la vecchina dei talenti.
e per lei l'atto di mangiarsi 200 metri di pista in 19"32 o l'atto di esultare sono semplicemente  due cose diverse: stessa dignità.
me ne torno a casa con la mia medaglia d'oro in esultanza.
ma nessuno lo sa.
tranne la vecchina. ed, ora, voi.
(che poi, a dirla tutta, bolt non è neanche male, ad esultare.)



#038 l'intreccio

ho scoperto che in questo specchio fatto di pixel i colori cambiano.
i tratti si alterano.
i rapporti crescono, alcuni invecchiano, alcuni cambiano densità e temperatura.
in questa incubatrice di istanti,
navigo a vista orientandomi con le stelle.
evito gli scogli ma non sfuggo alle correnti.
ed è un intreccio di fili, di distanze e prossimità che mi vede ai lati,
che si sfilaccia, si stringe, che mi insegue, che sposta la mia forma
sempre in bilico tra l'esser qui e l'altrove.
vibro.



#037 riconosco i giorni

la classe è vasta, più di trecento.
il numero esatto lo conosco. lo sappiamo tutti: trecentosessantacinque.
eppure ho guardato in faccia ciascuno di loro così tante volte che li riconosco, ad uno ad uno.
posso chiamarli per nome, usare confidenza.
ciascuno di loro mi ha portato momenti tali che tutti insieme mi hanno portato qui.
di ciascuno ho un ricordo sepolto, di qualcuno è un ricordo esplicito, condiviso.
di qualcuno, infine, una storia segreta.
molti hanno e avranno ancora molto da dire, ce n'è uno, poi, che ha le chiavi intasca e sa che sarà lui a chiudere la porta e spegnere la luce.
oggi tocca a 18novembre,
è arrivato di notte, come sempre, e ha portato un pacchetto.
lo porta lui, lo ha preparato con cura, il pacchetto.
ma so che non lo ha fatto da solo: è passato di mano in mano, e ciascuno di quelli prima di lui ci ha messo qualcosa.
i primi ha* lavorarci ci hanno messo lo stupore, la bellezza, i colori tutti,
altri ci hanno messo dentro parole faticose e bagnate, lavorando di notte,
in seguito alcuni colori sono evaporati.
poi è rimasto il rosso ed è rimasto il blu, a litigarsi il contenuto.
ma anche del rosso non vi è quasi più traccia.
è chiuso ed è lì sul tavolo. lo guardo e non riesco a fare nulla.
guardo in faccia 18novembre, lui ricambia lo sguardo e come me non sa che fare.
"è questo?" gli chiedo. ma so la risposta. la so già.
"si. dovevo." risponde.
guardo fuori, è grigio. è un tempo muto che sa di sospeso.
guardo meglio la carta con cui è stato confezionato.
è leggera, è blu come l'oceano.
non è grande, ma contiene abissi.
è freddo, leggo dei graffi, unghie di lupo.
posso vedere la traccia di una lacrima.
e la bellezza. la cura. la dolcezza.
"resti un po'?" anche questa volta conosco la risposta. è sempre la stessa.
"fino a domani.".
"grazie, 18, non lasciarmi solo, oggi."
lo guardo bene in faccia e lo riconosco.
un volto uguale a molti altri, da oggi tra quelli che non dimenticherò.
guardo il pacchetto e non so che fare.
"sai 18, mi stavo chiedendo se tua sorella avesse anche lei un pacchetto, stamattina, uscendo."
"si.  era rosso."
vediamo se piove, almeno.

* ebbè. si. vero. almeno lo sappiamo che non mi si legge per l'italiano. scusa mamma che ci hai anche speso soldi. ringrazio MQT per la spietata precisione.





#036 cosa vuoi tu da me?


una domanda che arriva.
prima o poi cade sul tavolo,
anzi, si schianta proprio.
come se fosse LA domanda che tutti hanno preparato, cresciuto, accudito e fatta diventare grande.
chiseicosafaiquantiannihaidadoveseisposatoseisinglemahaifigliahnononnehaiperòscrivibenedai.
in pratica un breve setup relazionale. misure prese. un'annusatina e siamo pronti per lei, la "one million dollar question".
e arriva.
e non importa se il tavolo è di legno massello, di marmo, di vetro o di cemento.
si schianta sul tavolo come se fosse in caduta libera da mille metri.
fa sempre lo stesso rumore sordo.
il rumore di qualcosa che si rompe.
certamente il tavolo.
ma non è solo il tavolo.
come se le parole dette fossero solo l'imballo.

fammi vedere cosa c'è dentro,
cosa vuoi vendermi, 
metti sul tavolo la merce, quella vera.

beh.

io non avevo esattamente in mente di fare marketing, qui.
comunque te lo dico, cosa voglio da te:
voglio sempre e solo una cosa da ogni persona che incontro.
voglio capire chi sei tu per me e chi io sono per te, da sempre.
voglio leggere quello che è scritto.
che tu sia l'idraulico, che tu sia le parole che cercavo, che tu sia il mio assassino, che tu sia il mio nuovo batterista, che tu sia il nulla, che tu sia il troppo, un'ombra di passaggio o il mio più grande errore/rammarico/rimpianto, che tu sia un sogno sognato o l'incubo per anni incubato, il viaggio che non farò o la conferma di dove sono arrivato.
c'è una scritta per me in fondo ai tuoi occhi, è inciso lì, quello che sarai per me.
lascia che io possa leggerlo.e intanto leggi quel che è scritto per te sul fondo dei miei.
il resto è tutto arredo d'istanti e ricalcolo percorso.

oppure "niente".








#035 il rigo segreto



c'è questa Canzone,
come parte, ci mette un secondo a metterti in moto.
come ce l'avessi dentro da sempre.
schemi armonici che si sovrappongono ai tuoi.
quadrati, perfetti.
e il ritmo uguale ricopiato dal battito del cuore,
in perfetta sintonìa.
poi parte il testo e non devi nemmeno farti prendere per mano.
sei stupito per quanto ti possa assomigliare 
una cosa che non hai scritto tu.
ma passa presto, una scrollata di spalle e un po' di realismo.
non saresti in grado di scriverle, le tue parole, tu. non così. 
e allora prendi quello che viene. 
e ti incassi anche il resto, sempre buono per i giorni di pioggia. 
ti ci tuffi, dentro. il sangue si fa più liquido e scorre, scorre meglio.
partono volùte di fumo che ti sollevano l'anima e la fanno danzare coi pensieri. 
come in una festa di paese, come in una sagra dei ricordi, 
l'odore dei sensi, il sapore delle promesse.
e quando finisce.. tu, sei finito.

hai consegnato alla Canzone tutto quello che sei,
oppure è lei che se lo è preso. 
e quando finisce anche tutti i tuoi volumi si abbassano.
tutti tranne due: respiro e battito.
quello è il momento in cui alzi gli occhi al mondo
e già lo sai che lo vedrai un po' diverso.
coi colori virati.

c'è questa Canzone che è come fare l'amore. 
con lei, con lui, col mondo.

questa Canzone ha un titolo e un autore.

e dopo il titolo, dopo l'autore, puoi trovare un rigo segreto
riporta un nome, e una data. 
si, come fosse una fede nuziale.
il nome è il tuo, la data è adesso.

perché questa Canzone è solo tua ed è solo adesso, e ha titolo e autore diversi dalla mia.
però c'è. 
per ogni istante della tua vita, una Canzone diversa.
il difficile è trovarla, e trovarla al momento giusto.
ma se la trovi, se la trovi.. non ti lascia più.
dentro era e dentro resta.
solo che ora lo sai.

#034 Chlorine



non sono un pesce.
mi piace entrare in acqua con un tuffo e partire subito.
continuare a nuotare fino a quando i miei muscoli da non pesce capiscono che è qualcosa di diverso.
fino a quando il mio cuore da non pesce capisce che deve pompare in orizzontale.
e la mia schiena assume un assetto buono per l'acqua.
e il respiro resta l'unica cosa che mi tiene agganciato al cielo, un filo che non posso spezzare, non ancora.
inspirando ogni tre bracciate posso mantenere un gesto simmetrico.
destra, sotto, sinistra, sotto, destra, sotto, sinistra, sotto.. virata. e così via.
dopo le prime vasche prendo il ritmo, se non c'è traffico. 
e riparte il pensiero.
non un pensiero diverso, no. ogni volta riparte lo stesso pensiero esattamente dal punto in cui l'ho lasciato la volta prima. ma non è escluso dal mondo, anzi. ogni volta è aperto a quello che è accaduto nel frattempo: a quello che è accaduto in ogni mio posto, in ogni mio altrove, qui come nel mondo.
nell'acqua affiorano le cose, cambiano le luci, con il cloro che resetta l'olfatto e il filo del respiro che mi tiene appeso al mondo con i suoi nodi equidistanti, sinistra, sotto, destra.

molte delle cose scritte qui vengono da quel momento.
molte delle cose che lascio che mi accadano trovano senso in quel momento.
e quando qualcosa mi appare in sogno è come se mi apparisse mentre nuoto. 
e, quando esco, 
non sono un uomo.
balzo sulla terra e cammino subito.
continuo a fare cose fino a quando i miei muscoli, il cuore e la schiena capiscono che è qualcosa di diverso..