#68 dal cielo.


lui deve essere suo padre.
lo capisco dal modo in cui le protegge la testa con la mano, dal modo in cui la tiene accanto a sé,
lo capisco da come lei lo guarda, da come trae la forza e il coraggio dal semplice contatto.
è così che fanno, gli uomini.

lei ha poco tempo, tre quattro primavere,
lo capisco da quanto è più piccola di lui,
lo capisco dal modo che ha di guardare in alto.

all'inizio la vedevo come un puntino al centro del campo visivo, poco più piccolo del padre,
poi questa corsa folle, questa inquadratura a stringere, mi ha portato a vederla meglio,
sempre meglio e sempre più grande e vicina, fino a rendermi conto che è molto molto più grande di me.
e ora so che il mio volo terminerà sulla sua fronte,  o sulla mano dell'uomo, se il caso.

e di tutto il mio viaggio loro non vedono che l'arrivo.
e l'uomo le insegna a chiamare il mio arrivo con un nome preciso.
loro lo chiamano pioggia.



#067 controblog.


è un controcanto.
a volte ti imbatti nelle persone, a volte ti imbatti nelle cose, e più o meno sai come reagire,
conosci le regole del confronto.
a volte invece ti imbatti in una pista tracciata, in una storia che è già stata scritta e letta da altri prima che da te.
e che tuttavia ti appare come preziosa e fresca come le storie che ti leggevano da bambino, quando ancora ogni cosa era per la prima volta.
parole capaci di andare a toccare meccanismi del pensiero che solitamente non frequenti, stanze più o meno segrete. spolverare gli angoli.
il risultato  è un viaggio. intenso, piacevole, arricchente.
e da una cosa così alla fine quelli bravi ci tirano fuori una canzone.
io invece mi ritrovo a voler rispondere ad ogni sillaba, parola per parola, pensiero per pensiero,
post per post.
un controblog, letteralmente. 


#066 eclissi.

mettici la luna, davanti.
e quello che ti resta da vedere è proprio e solo la luna.
ma, dietro, le strie riverberate impigliate nel campo magnetico del satellite. e la luce ricurva che arriva comunque.

mettici le parole, davanti.
nasconditi bene bene, ammùcciati, non lasciare che una sola parte di te resti alla vista.
e quando sei assolutamente certo che tutto è ben coperto, senza sprechi, senza ridondanze, senza lettere vuote o sospese allora comincia a chiederti che cosa in effetti può restare visibile.
e ti rendi conto che è tutto un riverbero, una fuga, una rifrazione, che anche nella penombra le ombre continuano ad essere proiettate e a coprire il buio con un'altra mano di buio.
e che le emozioni più piccole brillano come stelle.

tutto un brusìo di ombre che borbottano e un movimento di luci che sfuggono, trafilano, e proiettano sulle pareti le tue storie, quelle mai scritte e quelle nemmeno ancora sognate.
e il tutto che avviene fuori dal tuo controllo.

non ci resta che sederci per terra e guardarci attorno.
e metterci se serve lo stupore, e metterci se serve anche un po' di futuro, giusto quel po' che serve a permettere a tutto questo di cambiarci un po'.

in questo drive-in dove lo spettacolo, bello o brutto,  siamo noi.
con le stelle vicine che se la godono ingollando popcorn galattico,
con le stelle lontane che, potendo, sono intente a pomiciare.

foto Miloslav Druckmuller




#65 carta copiativa.


c'è questa distanza.
tra le cose che sento e le cose che riesco a scrivere.
uno strato d'aria buio di notte e splendente di giorno.
uno strato sottile eppure capace di tutto quello di cui è capace un cielo atlantico.
cristallino, freddo e ventoso d'inverno ma anche martoriato da tempeste tropicali.

c'è questo scollamento
come uno spessore attraverso il quale le immagini mi giungono deformate,
non abbastanza da non poterle riconoscere ma abbastanza da non poterle definire.
una distorsione intima, che mi priva delle assonanze cercate, che mi ruba le parole come si ruba un motorino, e le usa per un pomeriggio, per poi abbandonarle sul ciglio di una strada di periferia, violate.

scrivo qui, cerco la precisione, eppure quel che ne esce è una scrittura sbiadita, sfocata.
come scrivessi su carta carbone e tenessi la copia, quella con le scritte tenui e sbiadite.
mentre l'originale non esiste, non è carta buona per il mondo.

poi, ogni tanto, qualcosa cambia, qualcosa accade.
qualcosa penetra e chiude un contatto, e lo strato d'aria si fa terso, limpido.
e mi pare di veder ogni cosa per quello che è
ma è un attimo, solo un attimo.
un attimo al quale ho sempre chiesto parole.
mentre forse avrei fatto bene a chiedere silenzio.

#64 colori


Questo è un luogo in cui si comunica, e si dicono molte cose.
scrivendo. leggendo.
ma non è come parlare, non è come parlare.
prendo una frase a caso scritta da te, anzi: è sufficiente una parola, un ciao.
se me la immagino p r o n u n c i a t a  .. beh. è tutta un'altra cosa.

l'accento che fa il colore. l'inflessione che raccoglie in ogni singola sillaba la storia intera di un pezzo di mondo.
è una cosa che manca, qui.
è LA cosa che manca, qui.
e non c'è molto da dire, anzi, non c'è molto che si possa scrivere su questo.
sai cosa vorrei? vorrei sentire la tua voce mentre scrivi le tue cose, qui.
sentirle dette da te.
voglio un audioblog.