#122. Le vite degli altri (dijon, francia)


Quando fai un viaggio capitano cose.
a dire il vero il viaggio lo fai apposta, affinché capitino cose.
a volte capitano a te, a chi sta con te.
a volte capitano a quello che non sei più, capitano a quello che eri, a quello che avresti voluto essere.
a volte capitano a una versione di te che semplicemente non è pronta, o non lo è più, o non lo sarà mai.
allora il viaggio è doppio: nel mondo fuori e tra mille possibili versioni di te dentro.
e la combinazione che ne esce è diversa in ogni momento, posti in cui non sei mai stato che ti appaiono familiari, luoghi invece in cui torni e non li (ti) riconosci.
Non ho mai fatto un viaggio da solo se non per lavoro, e quando è successo quello che partiva non ero propriamente io, ma una modulazione tutta da scoprire.
il più delle volte non era nemmeno lo stesso che sarebbe tornato.

Comincio a pensarla in modo diverso, a cercare di comprendere le possibilità dell'essere soli, le conseguenze dello strappare i giorni da un calendario appeso dentro la testa, dell'attaccare sul muro i post-it delle domande e quelli delle risposte per poi accoppiarli a caso e cercare di dare un senso al risultato.
senza sensi di colpa, senza la paura di lasciare tracce, senza guardarsi troppo i piedi e senza cercar troppo l'orizzonte.
quando fai un viaggio cerchi un modo di guardare il mondo, a volte di fotografarlo e quando pensi di averlo trovato e scatti nella foto entra una bimba che correndo ti schiva all'ultimo.
e riguardando le foto, la sera, ti rendi conto che quella bambina non ha attraversato soltanto la tua inquadratura, ma il tuo intero universo, e la sua presenza nella foto ti racconta che ci sono vite che ti schivano all'ultimo e che forse dovresti cercare almeno di includerle nella tua fotografia del mondo.
darsi una possibilità, sempre.