ho una mia idea, sui talenti.
sono molte di più le cose che si possono fare del numero di persone al mondo.
e credo che ciascuno di noi possa essere il migliore in una certa cosa.
perlopiù cose inutili:
catalogare palline da ping pong.
unire i puntini immaginari nelle nuvole.
pensare coni rovesciati.
col tempo ho visualizzato un personaggio: una vecchina, fragile, indifesa.
una di quelle vecchine che fanno tenerezza, di quelle che il buoncuore ti porta a favorire, a proteggere, quasi accudire per i pochi metri di strada che la tua maggior velocità ti concede al loro fianco.
è la vecchina dei talenti.
non è mai nello stesso posto. e tutti la incrociano, una volta nella vita.
e lei sa, di ciascuno, quale sia il talento. quale la cosa in cui sarebbe il migliore.
basterebbe chiederglielo, te lo direbbe.
immagino la vecchina nel centro di una città fuori da una vetrina l'undici agosto 2012.
olimpiadi di londra, finale dei duecento metri.
Usain Bolt che vince l'oro, dopo aver vinto i 100. che esulta.
e lei, la vecchina, che guarda la gara attraverso la vetrina di un negozio.
e che fa no con la testa.
e che sorride.
e scuote la testa.
e io che le chiedo perché stia sorridendo.
e lei con voce sottile che mi dice tu, mi dice, sei meglio di lui.
io?
mi guardo. guardo bolt in tv e mi dico che è pazza.
il mio sguardo dice a lei la stessa cosa perché lei si fa seria, alza una mano e mi indica.
si, dice, tu sai esultare molto meglio di lui.
lei è la vecchina dei talenti.
e per lei l'atto di mangiarsi 200 metri di pista in 19"32 o l'atto di esultare sono semplicemente due cose diverse: stessa dignità.
me ne torno a casa con la mia medaglia d'oro in esultanza.
ma nessuno lo sa.
tranne la vecchina. ed, ora, voi.
(che poi, a dirla tutta, bolt non è neanche male, ad esultare.)